I SENATORI Carlo Giovanardi e Maurizio Gasparri replicano al mio articolo dell’altro ieri sul dramma di Lavagna dimostrando di non aver letto o, peggio, di non aver compreso quello che ho scritto. Parlano di legalizzazione di stupefacenti come fossero due sprovveduti e non due senatori, uno dei quali ha dato finanche il nome alla peggiore legge in materia che l’Italia abbia mai avuto, la Fini-Giovanardi, finalmente incostituzionale. Ma questo sarebbe ancora niente in confronto al dubbio che mi viene, che invece, pur conoscendo a fondo la materia, Gasparri e Giovanardi continuino con dolo a fare disinformazione.
Voglio fugare ogni dubbio: non ho alcun vantaggio personale nel proporre la legalizzazione, non è un argomento nazionalpopolare, ma che piuttosto divide l'opinione pubblica, e a parlarne ci si fa più nemici che amici. Perdo simpatie e non ne acquisto schierandomi a favore della legalizzazione. Tuttavia mi sfugge il motivo per cui Gasparri e Giovanardi vogliano continuare a regalare miliardi alle mafie (esattamente tra i 4 e i 9 ogni anno ed essendo un mercato illegale si tratta di stime solo approssimate per difetto) sulla pelle di piccoli spacciatori e dei consumatori, le uniche vere vittime delle politiche proibizioniste in Italia. Io continuo a pensare, e le parole della mamma del ragazzo mi confermano in questa mia idea, che di droghe leggere e dei loro effetti si parli poco e che, essendo illegali, prima ancora che nocive vengano considerate una vergogna sociale, un tabù. Un ragazzo che fumi cannabis viene considerato un tossico da recuperare e se ci sono tormenti e angosce — dinamiche tipiche dell'adolescenza — non è la cannabis a costituirne la causa, né tantomeno il luogo immateriale in cui si cerca rifugio. Dov'è il cortocircuito nella tragedia di Lavagna (non sto qui a dire che poteva essere evitata)? Per cinquanta euro di fumo interviene la Guardia di finanza su segnalazione della madre del ragazzo. In caso di abuso d'alcol, per esempio, o di sigarette, entrambe sostanze più nocive della cannabis ma legali e quindi non in contrasto con la morale pubblica, tutto si sarebbe risolto in maniera diversa. Magari il ragazzo si sarebbe suicidato lo stesso, questo non possiamo saperlo, ma non certo in seguito all'intervento della Guardia di finanza. Dov'è il cortocircuito, quindi? Lo Stato, attraverso la Guardia di finanza, è intervenuto per spaventare e punire. Non è stato di supporto e non poteva del resto esserlo, non essendo preparato per farlo e non essendo quella la sua finalità che, ripeto, è repressiva. Una vicenda che palesava un disagio anche familiare si è trasformata in tragedia pubblica e ci impone riflessioni sul ruolo dello Stato e del suo braccio armato, le forze dell'ordine. Vi starete chiedendo cosa sarebbe cambiato se la cannabis fosse stata legale. La madre non avrebbe potuto chiamare la Guardia di finanza, non solo, non ne avrebbe forse nemmeno sentito la necessità. Perché se un sedicenne fuma un pacchetto di sigarette al giorno, la mamma gli toglie la paghetta, lo controlla maniacalmente perché smetta di farlo, ma non chiede l'aiuto delle forze dell'ordine. Eppure le sigarette uccidono, le canne no. Ma le sigarette sono legali, e allora vedere un ragazzo o una ragazza che fumano sigarette, magari molte, non provoca vergogna sociale, non provoca scandalo. È sulla parola scandalo che dobbiamo concentrarci e su come lo Stato debba creare le condizioni perché non vi sia scandalo, ma comprensione e risoluzione dei problemi attraverso il dialogo, senza repressione. E invece vietare significa creare scandalo, significa mettere alla berlina, fare in modo che si possa puntare il dito, giudicare e punire. Uno Stato che si comporta così è uno Stato potenzialmente criminale. Di cui è vittima il ragazzo e di cui è doppiamente vittima sua madre. Lo Stato deve essere aiuto per il soccorso e non deve aiutare a punire. Deve aiutare a comprendere, tendere una mano, non può essere strumento per spaventare e reprimere. In Italia (fonte l'Airc, Associazione italiana per la ricerca sul cancro) i dati riguardanti le aree coperte dai Registri tumori indicano come prima causa di morte oncologica nella popolazione il tumore del polmone (20%). Ogni giorno, oltre 485 persone muoiono a causa del cancro, ciò significa che tra queste 97 muoiono per tumore ai polmoni, di cui, a voler fare una stima al ribasso, il 15% causato direttamente dal fumo di sigarette: più di 14 ogni giorno. Sapete qual è il numero delle persone che muoiono ogni giorno per consumo di droghe leggere? Zero. Dirò di più: i dati diffusi nel 2015 dal ministero della Sanità danno un quadro molto più drammatico calcolando tra i 70.000 e gli 83.000 i decessi in Italia causati dal fumo di sigarette. Oltre il 25% di questi decessi riguarda persone di età compresa tra i 35 e i 65 anni. E poi c'è l'alcol, che è un killer altrettanto spietato. Secondo l'Organizzazione mondiale della Sanità, è responsabile del 4% di tutti i decessi nel mondo (2 milioni e mezzo di morti ogni anno) e sebbene il consumo sia in calo, non diminuiscono le vittime. È la prima causa di morte tra i giovani fino a 24 anni e in Italia provoca 30.000 decessi ogni anno, tra incidenti stradali (il 30 per cento è legato all'alcol) e malattie (cirrosi epatica, pancreatite, tumori, aumento della pressione arteriosa). Gasparri e Giovanardi questi dati si guardano bene dal citarli. Credo li conoscano, quindi è con dolo che fanno disinformazione. Quindi è con dolo che puntano il dito sui giovani che fumano cannabis facendoli sentire tossici, reietti, sporchi, da giudicare. La tragedia che è accaduta a Lavagna ci deve insegnare a essere onesti, a chiamare le cose con il loro nome e a sbugiardare quella politica ignorante e bigotta che ci vuole armati l'uno contro l'altro, giovani contro meno giovani, genitori contro figli, professori contro studenti, in una spirale che ha come esito ultimo solo una disumana incomprensione. Di cannabis non è mai morto nessuno, di incomprensione, ignoranza, disinformazione, cattiva politica e superficialità, invece, sì. 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